

Poco conosciuta, bistrattata e relegata negli angoli bui come ‘pianta della nonna’, l’aspidistra – Aspidistra elatior – è tuttavia la pianta nazionale degli inglesi che l’hanno adottata a metà Ottocento e, soprattutto, è una delle erbacee perenni rizomatose più eleganti e adattabili che ci abbia regalato il Giappone.
Anche se le specie sono un centinaio, distribuite tra Giappone, Cina, Vietnam, Laos, India, e altre forse non sono state ancora scoperte (le ultime sono state individuate in Vietnam e nomenclate nel 2013), mentre il genere Aspidistra ha vagato dalla famiglia delle liliacee a quella delle convallariacee, passando per le ruscacee per approdare nel 2009, infine, nelle Asparagaceae, sottofamiglia Nolinoideae.
Di loro, insomma, ne sappiamo proprio poco e i botanici vanno a tentoni. Né sappiamo che a nomenclare la prima aspidistra è stato il botanico inglese John Ker Gawler nel 1822. Abbiamo poche notizie (e scarsa disponibilità sul mercato) persino delle varietà, pare una trentina, della comune aspidistra che era vanto della nonna e che non mancava mai ai lati degli scaloni nobiliari e sui più modesti pianerottoli borghesi.
D’altronde è una bella pianta, sembra che ce ne accorgiamo solo ora, tra alti e bassi di fortune internazionali. Ha foglie lanceolate alte sino a 70 cm, consistenti, dritte su brevi piccioli che nascono direttamente dal terreno, di un verde scuro austero e intrigante che ha meritato loro il posto d’onore nel cuore dei fioristi e dei floral designer. Le foglie sono tutto nell’attrattiva e infatti danno il nome anche al genere (dal greco asπiví, aspís, scudo e dal genere affine Tupistra). Poco o nulla dicono i fiori, minuscoli e ‘segreti’ in quanto segregati alla base della pianta: di loro si è a lungo favoleggiato circa gli impollinatori. Le voci popolari assicuravano che a provvedere fossero lumache e limacce, mentre studi recenti hanno stabilito che responsabili sono minuscoli anfipodi. Ai fiori fanno seguito bacche di colore nerastro: se raccolte al punto giusto di maturazione dei semi, in autunno, danno la possibilità di moltiplicare la specie. Più difficile ottenere in breve tempo altri esemplari da una varietà, un po’ perché le aspidistre odiano essere svasate o estirpate dalla piena terra, un po’ perché sono lente a crescere. Infatti i giardinieri provetti raccomandano di svasare un esemplare solo quando dà segni di insofferenza e regressione perché le sue radici rizomatose hanno occupato tutto lo spazio disponibile.
Per decidere esposizione, terriccio e annaffiature, basta ricordare che negli ambienti naturali del Giappone Aspidistra elatior cresce nel sottobosco rado, in buona luce ma non al sole diretto, in terra mediamente fertile e molto ben drenata. Sicché: discreta illuminazione se possibile, anche se, da pianta robusta e adattabile qual è, può accettare senza intristire l’ombra del più buio dei cortiletti (ma meno bene la luce diretta del sole, che scolora le foglie e rallenta la crescita). In quanto alla rusticità, regge il gelo in piena terra sino a –5°C e sopporta il caldo sino a +40°C, purché l’aria sia sufficientemente umida. Ben coltivata (e anche dimenticata piuttosto che assillata con eccessive cure), un’aspidistra può campare oltre cent’anni, solo con qualche blanda concimazione liquida in estate, annaffiature distanziate lasciando asciugare completamente la terra tra una somministrazione e l’altra di acqua, un riparo dalle piogge e dalle gelate eccessive in inverno e il rinvaso mediamente ogni quattro o cinque anni.