

Vista per la prima volta e descritta nel 1526 dal naturalista spagnolo Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés, l’arachide (Arachis hypogaea L. 1753) è molto probabilmente una pianta ibrida selezionata in coltivazione dalle popolazioni precolombiane dell’America meridionale mescolando fra loro due specie naturali Arachis duranensis e Arachis ipaensis che ancora oggi crescono allo stato selvatico in Paraguay e Bolivia. Resti archeologici dimostrano che le popolazioni sudamericane conoscessero l’arachide già nel 5500 anni a.C. e quando i colonizzatori europei arrivarono questa pianta era diffusa in coltivazione fino al Messico e nelle Antille.
Mentre gli europei iniziarono a diffonderla anche nei paesi caldi degli altri continenti, il naturalista Charles Plumier la vide nelle Antille e la battezzò Arachide in onore delle quasi mitologiche Arachidna citate da Teofrasto (botanico discepolo di Aristotele) che avevano fatto lungamente discutere gli eruditi sulla loro identificazione.
Le arachidi iniziarono ad essere coltivate con successo in Spagna alla fine del XVIII secolo. Arrivarono a Roma dal Brasile via Lisbona nel 1787 grazie all’abate Antonio Salazar de Fiugueredo che insieme a Filippo Luigi Gilli e Gaspare Xuarez compirono esperimenti di semina. La coltivazione in larga scala fu diffusa nella Francia meridionale e in Toscana da Napoleone. A Lucca il Governo di Elisa Baciocchi distribuì gratuitamente arachidi per sperimentare questo tipo di coltura che riscosse un certo successo fra i contadini. L’interesse per questo frutto da parte dell’Impero francese fu accresciuto dal blocco continentale attuato dagli Inglesi. Le arachidi erano utilizzate come foraggio per gli animali ma soprattutto per estrarne l’olio che poteva sostituire quello di oliva ed era più facile da ricavare e di maggiore resa.