

I girasoli compaiono nelle illustrazioni botaniche a partire dalla loro introduzione in Europa nel Cinquecento ma bisogna attendere il periodo barocco per vederli comparire nella grande pittura ufficiale.
Vennero considerati inizialmente interessanti per il loro valore estetico e per alcune proprietà medicamentose, ma il loro potenziale alimentare fu sottovalutato in fino alla fine del XVIII secolo. La rivoluzione avvenne in Russia, dove la Chiesa ortodossa vietava i grassi animali e latticini in quaresima, l’olio d’oliva doveva essere importato da lontano e non esisteva un’alternativa a basso costo per l’agricoltura locale. Si sviluppò così con sempre maggiore importanza la coltivazione estensiva del girasole, e la selezione delle piante più produttive per estrarre dai semi un olio vegetale che aveva ottime qualità organolettiche.
Nell’ambito artistico fu il fiammingo Antoon van Dyck, pittore di corte di Carlo I d’Inghilterra a riservare un posto di primo piano ai girasoli. Il grande Helianthus annuus protagonista dell’autoritratto del 1632 circa ha fatto molto discutere gli storici dell’arte, ma sembra un’allegoria della devozione e fedeltà che il pittore nutriva nei confronti del re rappresentata dalla pianta che si volta sempre verso il sole. Ma il pittore inserì la nuova pianta anche in opere con temi decisamente più impegnativi. Assiene a Pauwel de Vos van Dyck dipinse nello stesso periodo un ‘Riposo durante la fuga in Egitto’ dall’ambientazione poco orientale ma molto ‘sudamericana’. Infatti nel quadro si vede un grande pappagallo Ara e un enorme girasole che forse allude alla regalità di Cristo. Anche nel ritratto dell’amico Sir Kenelm Digby, il pittore fiammingo volle inserire, come nel suo autoritratto, un grande girasole simbolo della fedeltà del diplomatico, membro della corte reale.
Non solo fedeltà ai sovrani, ma anche fedeltà degli affetti: ecco un’ulteriore sfumatura del significato simbolico dato al girasole nella pittura barocca nel ritratto di giovane donna sconosciuta di Bartholomeus van der Helst del 1670 e nel Ritratto di donna con girasoli del 1730 di Carel de Moor. Pur di non facile abbinamento per le sue dimensioni spesso fuori scala, il girasole entrò a far parte anche delle più classiche e dettagliate nature morte floreali fiamminghe barocche, come nell’olio di Rachel Ruysch del 1710.
Ma i pittori si fecero interpreti anche dei fraintendimenti letterari e scientifici scaturiti dalla passione degli studiosi per identificare le piante che i naturalisti greci e latini dell’Antichità avevano descritto nei loro testi. La mitologia greca racconta di Clizia, una ninfa innamorata e poi ripudiata dal Sole che alla fine, impietosito, la trasformò in Eliotropio, una pianta che si volgeva sempre verso l’astro. Alcuni botanici del ‘500 proposero di identificare l’Eliotropio degli antichi con il nuovo Girasole introdotto in Europa dal centro America. Da questa forzatura nacque l’uso pittorico di rappresentare Clizia circondata da girasoli durato dal periodo barocco fino alla pittura preraffaellita.
I girasoli furono oggetto di fortissima attrazione per Vincent Van Gogh come vediamo nel quadro realizzato sulla collina di Montmartre a Parigi nel 1887 che raffigura un’enorme pianta. L’anno successivo Van Gogh si stabilì ad Arles e, per creare una sorta di comunità artistica, invitò l’amico Paul Gauguin a trasferirsi da lui. L’entusiasmo e l’ottimismo per questo progetto lo portarono a realizzare numerosi quadri dedicati ai girasoli che rappresentano le opere più popolari e conosciute dell’artista. Pochi anni più tardi anche Gustav Klimt non rimase insensibile di fronte maestosità dell’Helianthus annuus, intorno al 1907, al culmine quindi della sua creatività del cosiddetto periodo aureo, caratterizzato dall’estrema opulenza della stesura pittorica, raffigurò i girasoli al centro di dense opere che rappresentavano angoli di verdissimi giardini fioriti.